Sesso e decadenza sociale

Articolo è comparso su Campari e De Maistre lo scorso 07 febbraio.

Aggiungo qui che l’articolo può essere letto in continuità con altri più occasionali da me curati negli scorsi mesi sul blog. In particolare i tre interventi focalizzati sul caso Justine Jacob, esponente del soft-core, a fatica sottrattasi dalla morsa dell’industria pornografica, della quale ha prontamente denunciato abbagli e spire, a danni di attrici e spettatori:

Le origini

Gli sviluppi

Il congedo

Veniamo all’articolo

Drogati di pornografia?

Parliamo di pornografia, di spirito, di società e di chimica. E di scolarizzazione e deturpamento dei bambini. E per farlo partiamo anzitutto col segnalare un saggio scientifico di Donald Hilton, Come la pornografia droga e altera il tuo cervello (fonte originale QUI), lungo e intricato, le cui tesi però sono lampanti fin dal titolo: il consumo di materiale pornografico stimola la produzione eccessiva di sostanze chimiche dalle quali deriva la dipendenza alla pornografia stessa, dipendenza che agguaglia di fatto il pornomane a qualsiasi altro drogato di sorta.

Consideriamo la dopamina. Questo prodotto chimico è un cugino stretto dell’adrenalina; entrambe sono neurotrasmettitori eccitatori che dicono al cervello: «Vai»!

È luso eccessivo del sistema di ricompensa della dopamina che provoca dipendenza. Quando queste vie vengono usate in modo compulsivo, si verifica una retrocessione che riduce in modo effettivo la quantità di dopamina nelle aree di piacere disponibili per l’uso, e le stesse cellule dopaminergiche iniziano ad atrofizzarsi e a ridursi. Le cellule ricompensa nel nucleus accumbens sono affamate di dopamina e vivono in uno stato di desiderio; allo stesso tempo, si verifica un declassamento dei recettori della dopamina sulle cellule del piacere. Il ripristino del «termostato del piacere» produce una «nuova normalità». In questo stato di cose, la persona deve agire secondo la dipendenza, ossia aumentando la dose di dopamina fino a livelli sufficienti per sentirsi normale. Poiché avviene una desensibilizzazione dei circuiti di ricompensa, stimoli più forti e ancora più forti sono necessari per aumentare le dosi di dopamina. Nel caso di dipendenza da stupefacenti, la persona dipendente deve aumentare la quantità del farmaco per ottenere il medesimo picco. Nella dipendenza da pornografia, immagini sempre più scioccanti sono necessarie per stimolare la persona.

la pornografia è un triplice gancio, composto da una ipofrontalità corticale, dalla retrocessione dopaminergica e dal coinvolgimento dell’ossitocina e della vasopressina. Ognuno di questi ami è potente, ed essi sono sinergici. La pornografia piazza i suoi ami molto rapidamente e profondamente, e mano a mano che la dipendenza progredisce, si stringe rapidamente il nodo della dopamina finché non esiste più via di fuga. 

[aggiunta per il blog: Dunque, nella dipendenza da pornografia immagini sempre più scioccanti sono necessarie per stimolare la persona. Il che, detto nel modo più barbaro possibile, potrebbe significare che tutti noi, nella misura in cui ci diciamo tolleranti e possibilisti nei confronti dell’adulto che liberamente e autonomamente voglia far ricorso a certi materiali, siamo complici della possibilità che costui, preda della dipendenza crescente, giunga a desiderare sbocchi raccapriccianti al suo moto compulsivo. Femminicidio e pedofilia non esclusi. Ma questa è una mia conclusione, non di Hilton.]

Fin qui il problema clinico per il singolo. Tra gli esiti infelici a livello sociologico, Hilton non tace la probabilissima connessione col tracollo demografico occidentale, e individua un interessantissimo circolo vizioso tra rivoluzione sessuale, calo demografico e implosione sociale

È stato alla fine degli anni ’60 e ai primi ’70 che questo declino è  iniziato, e questo periodo corrisponde proprio all’avvento della rivoluzione sessuale. Esiste una correlazione diretta tra il crescente dominio culturale della rivoluzione sessuale e il tasso di natalità in diminuzione, e mentre un nesso di casualità non può essere provato, si può fortemente temere che ciò sia stato – almeno in parte – indotto dall’effetto feromonico della pornografia. Naturalmente, il declino demografico è multi-fattoriale. L’urbanizzazione, le donne sul posto di lavoro, l’adattamento del ruolo e le aspettative di vita sempre maggiori sono fattori importanti nell’inversione della piramide della popolazione. Ma i fattori primordiali o biologici della sessualità umana e la stabilità della famiglia sono primari e, a mio parere, non sono stati adeguatamente ponderati. Nel 1934, l’antropologo di Cambridge J. D. Unwin pubblicò il libro Sex and Culture («Sesso e Cultura»). In esso, Unwin ha esaminato ottantasei culture abbracciando 5.000 anni per quanto riguarda gli effetti della promiscuità sessuale e della selettività sessuale. La sua prospettiva è rigorosamente laica, e le sue conclusioni non sono ubicate nel dogma moralistico. Egli ha dimostrato, senza eccezioni, che le culture che hanno praticato una monogamia stretta in vincoli coniugali hanno saputo tirar fuori quelle che lui chiama le «energie creative sociali», e hanno raggiunto lo zenit della produttività. Al contrario, le culture che non avevano alcun sistema di controllo sulla sessualità, sono state, senza eccezione, deteriorate dalla mediocrità e dal caos.

 

A questo quadro allarmante Antonio Socci ha contrapposto ultimamente una lettura spirituale, La moderna ossessione per il sesso dimostra che l’anima esiste, il cui pregio è certamente quello di ricordarci a quali e quante risorse l’essere umano possa continuamente e speranzosamente attingere, per rialzarsi dalle sue peggiori miserie. Il Senese comincia proprio sferzando la liberalizzazione sessuale come vero mostro moderno, troppo a lungo sottostimato e snobbato

Scurati, a cui non manca l’acutezza dello sguardo, osserva: “di tutte le rivoluzioni mancate – o fallite – dalla sinistra sedicente rivoluzionaria, la rivoluzione sessuale è stata la più fallimentare. Sul terreno ha lasciato quasi solo rovine”, in particolare “la mastodontica mole sociale della frustrazione sessuale” che “è vasta come un’intera città ipogea…”.

Un nuovo saggio di Zygmunt Bauman, “Gli usi postmoderni del sesso” (Il Mulino) cerca di tirare le somme anche teoriche di un “discorso sul sesso” che ha accompagnato, giustificato e orientato questa rivoluzione postmoderna.

E le parole filosofiche di questa rivoluzione (un po’ come i prodotti derivati, nel mercato finanziario) sono innumerevoli, tanti i pensatori, da Lyotard a Sartre, a Bataille, dall’ “erotismo aristocratico e noiosissimo di Sade al Marcuse di ‘Eros e civiltà’ ”, che, secondo un pungente Maurizio Ferraris, avrebbe fornito la teorizzazione di ciò che un suo antico maestro “si era limitato a praticare con le studentesse”.

Per venire poi a dare la sua rilettura spirituale dell’evento. Lettura che consiglio di meditare, nonostante si avvicini alle tesi di Fabrice Hadjadj, autore che – mi sia concesso dirlo – apprezzo solo a metà.

Questa pornomania di massa è la prova dell’esistenza dell’anima. Non sono i desideri della carne che esplodono nell’ossessione sessuale planetaria, ma il desiderio dell’anima a cui il corpo non riesce a star dietro, anche se l’immaginazione s’inventa mille varianti e mille avventure (che inevitabilmente risultano presto noiose e ripetitive).

Le solide fondamenta del nostro essere, cioè la nostra anima, sono la garanzia e il pegno di risalita per ognuno. Buona la prima. Ma funzionano solo se vengono rettamente considerate e gestite. Cosa che certamente non si realizzerà qualora proseguissero le infelici proposte di sessualizzare i bambini fin dagli anni dell’asilo e delle elementari, tra ore di omosessualità, transessualizzazione e sado-masochismo.