Torture maoiste

Consiglio a tutti di leggervi Chiesa cattolica e Cina comunista di E. Giunipero (Morcelliana, 2006); un libro moderato e ben documentato che narra le fasi di insediamento del regime maoista e il procedimento utilizzato per smantellare la presenza cattolica in Cina.

Accanto agli interventi sanguinolenti e alle espulsioni forzate – che erano l’obiettivo esecutivo preferito nei confronti del clero estero – spiccano le tecniche di lavaggio del cervello. La conversione intellettuale fu indetta dalla Riforma attraverso il lavoro produttivo. Dai missionari stranieri si volevano estorcere confessioni-zibaishu di auto-denuncia prima di espellerli. Alcune di esse furono pubblicate su riviste, come la Xinge e i cattolici patriottici di Shanghai (le riviste cattoliche più diffuse nelle parrocchie – una storia che si ripete).

Esemplare la vicenda del religioso Fortunato Tiberi che nel 1951 subì torture, veglie forzate, fasi di studio-xuexi per arrivare alla tanbaishu-l’auto-denuncia fatta in pubblico; Tiberi, come molti altri, fu costretto a studiare ininterrottamente testi marxisti, a ripeterli, a difenderli in simulazioni di dibattiti pubblici pilotati; dopo un anno fu rilasciato e i confratelli si accorsero del cambiamento avvenuto: chi non si opponeva a tale tortura – e opporsi valeva il carcere o peggio – ne usciva realmente convinto che il marxismo era giusto.

Uomini adulti e motivati, missionari che avevano affrontato l’oceano e mille avversità pur di annunciare Cristo nelle ostiche terre cinesi, cedevano in massa alla pressione sistematica del Regime maoista e alla rigorosità delle conversioni intellettuali forzate. Più in dettaglio la Giunipero descrive così le fasi del lavaggio di cervello: 1. ming-fang cinguettare (ognuno esprime il suo parere critico), 2. zhengbian argomentare (ai partecipanti vengono spiegati i loro errori), 3.  da bianlun grande discussione (educazione socialista), 4. da douzheng grande lotta (costringere ad ammettere gli errori), 5. Xiang Dang xian xin donare il cuore al partito (cerimonia di adesione), 6. messe abbondante (stendere due relazioni, una sul Vaticano e una sul partito), 7. carcere per i recidivi (alle pp. 129-130 del testo).

La vulva d’oro del risorgimento. Altro che Minetti

A chi, digiuno di storia e storie, si sia lasciato scandalizzare dai pastiche carnacei del Berluscone nazionale; magari ritenendo deplorevoli le carriere di Minetti, Garfagna, Ruby, Noemi e socie.
A chi, nonostante quanto sopra, continuasse a trastullarsi della novella risorgimentale coi suoi miti patrii e le sue eziologie di fondazione.

A tutti costoro chiederei di fare una scelta. Perchè il vero e solo spirito patriottico – che evidentemente appartiene al sottoscritto – è quello che applaude l’Italia, però non potendo tralasciare di, e anzi concorrendo ad applaudirne gli stili propriamente italici di auto-fondazione.

Ora, da che Italia è Italia, l’Italia è fatta da gran donnaioli e da sagacissime donnone.

Che poi il duo (o il gruppuscolo) Berluscone-Minetti sia tiepida emulazione rispetto al duo (o gruppuscolo) Vitorio-emanuele-secondo-Virginia-elisabetta-luisa-carlotta-teresa-ntonietta-maria è cosa patente. Però insolubile.

Se accetti il risorgimento, coerentemente ne accetti i prodromi sessuomani e gli attuali esiti villani.
Se rifiuti le sporcacciate silviesche – povero te – mi devi pure rinnegare almeno in parte, e che parte!, le porciute gesta di chi (si) fece l’Italia.

QUI

QUI

e pure QUI

 

 

Femminismi. Meglio cristiani che ‘scalfari’

L’altra sera tra amici si parlava di Bibi Aisha, la ragazza afghana che ha subito sfregio dal marito. Presto esce il nome del quotidiano d’assalto La Repubblica, attivissimo nella denuncia del misoginismo islamico (i.e., QUI).

Tutto vero. E’ vero che l’islam conosce abissi di misoginismo. Lo conferma indirettamente  il recente post di Cammilleri QUI. Certo Cammilleri segnala anche che i benefici in regione non sono arrivati dalle campagne di Repubblica, ma dalla civilizzazione cristiana (quella che i Repubblichini combattono, spesso appoggiandosi a pauliciani quali Vito Mancuso).

Non però che neghi i buoni frutti di certe campagne e di certi ambienti Repubblichini (pur sempre diffidando della loro fruttuosità stocastica). Semplicemente mi chiedo. Ma che senso ha, e in che modo è affidabile e stabile, la proposta ideologica di un gruppo tanto giustamente avverso alle offese estetiche e culturali contro la donna, quando invece le esigenze più spirituali, interne, comunionali e vitali vengono costantemente ignorate?

Alludo alla cecità impietosa con cui si propugnano libertinismo sessuale, convivenze, omosessualismo, divorzi e aborti: salvo poi dimenticare nel nulla le immense crisi personali che a tali errori sopraggiungono.

Mi spiace. A costo di esser poco popolare, devo ritirare la mia preferenza per La Repubblica. Non sono migliori dei musulmani.

Sono solo più ipocriti, più paraculati, più potenti.

La miglior soluzione – che non sarà neppure mai assoluta, perfetta o definitiva – ai problemi della donna e in genere della società non è saltare da un errore ideologico all’altro. Ma riconoscere per intero  le esigenze della verità. E la verità della donna è, certo, esser rispettata anche nei suoi sbagli. Ma non essere incitata a degradarsi nel proprio intima. Sola, Sempre più sola. Specie dopo i comizi di piazza.

Chiesa, UE, ONU e le donne (2 di 2)

La seconda parte di Contro Il Cristianesimo, PIEMME, Casale Monferrato (AL) 2005, riporta il saggio della femminista Eugenia Roccella.

Riprende alcune idee dalla prima di Scaraffia, ma poi vira su curiose questioni muliebri.

Tuffiamoci nel pezzo, siamo a pagina 91. Anzitutto una ricognizione storica: come e perché “diritti riproduttivi” e “diritti della donna” siano nati separati e si siano poi trovati congiunti. Risposta anticipata: le donne e le loro aspirazioni sono state strumentalizzate per portare avanti supposti diritti riproduttivi, in realtà ottimi strumenti di gestione mercatista ed elitaria della società internazionale.

A pp. 96 ss. si snoda un curioso carosello che lega tra loro dinamicamente eugenetismo, antinatalismo, darwinismo (quello che a noi oggi sembra tanto innocuo e scontato, solo perchè il peggio è passato) e interesse per i Capitali economici. Il tutto targato Inizio Novecento.
Ahimé la scomoda epopea nazista sbarrerà la possibilità di cavalcare più a lungo la strada eugenetica. Che fare? Ma certo, ab-usare di un’altro buon cavallo di troia (mi scuso, nessun doppio senso maschilista): il femminismo opportunamente modificato.
Sunto storico:
  1. Nel 1968 la dichiarazione di Teheran emancipa il concetto di Family Planning.
  2. 1974, Rockfeller (pp. 100 ss.), erede della ottocentesca “paura della plebe” (forte in ogni grossa ideologia non cristiana), devia la metodologia antinatalista dal mero abortismo all’impiego del movimento delle donne. Non più catastrofismo sociale, ma rivendicazione di diritti individuali. Ecco la svolta astutissima ed efficace (duole dirlo: a disdetta della auspicata superiorità intellettuale della donna sull’uomo).
  3. 1979 inizia la politica del figlio unico in Cina – ora ufficialmente conclusa – appoggiata da ONU e WWF (pp. 104 ss.)

Così da un lato prosegue l’onirismo ONU: “marciano trionfalmente verso una suprema astrazione, che si alimenta a livello teorico di se stessa e a livello tecnico delle proprie elite burocratiche, senza mai confrontarsi con qualcosa che faccia attrito“.

Dall’altro zoppica la presunta occasione femminista. Si fa e più e più palese che la virata abortista e uterista del femminismo, lungi dall’emancipare la donna, rischia in molti paesi del mondo di divenire l’ennesimo strumento di potere del maschio sessuomane sulla donna-oggetto. E così, nello scandalo di politiche abortiste, nel dispregio dell’effettiva salute delle donne, nell’orrore di politiche per la sterilizzazione succede che alcune associazioni femministe “hanno cominciato a denunciare lo scandalo delle politiche antinataliste, accusando di neo malthusianesimo l’UNFPA, la Banca Mondiale e l’USAID, e ponendosi interrogativi di fondo” (pp. 128-129).

Sorge la consapevolezza che l’aborto non sia l’unica e migliore strategia per il benessere della donna, che l’aborto possa essere uno strumento di controllo tutto maschilista, che le pillole contraccettive siano un sopruso alla coscienza e alla responsabilità pschico-culturale delle donne (138 ss.).
Al che l’UE e le associazioni antinataliste si trovano oggi davanti a due nemici disparati: il vaticano e l’America. Scherzi della storia, schizzi delgi ideologismi.

Per concludere la Roccella illustra la politica di mistificazione linguistica adoprata dalla UE (152 ss.), con lo scopo di rendere accettabili alla massa realtà che altrimenti – se chiamate per nome – avrebbero certo incontrato l’opposizione di tutti, a dispetto dei santi burocrati di Bruxelles.

  1. Eufemismi e perifrasi: come l’inimmaginabile PRE-EMBRIONE
  2. Linguaggio tecnico, tra l’incomprensibile e l’asettico, dove tutto è scienza e fisica, con buona pace di sentimenti, cultura e spirito (tanto più profondi nelle donne che negli uomini!): GENITORIALITA’ anziché “padre e madre”
  3. Lessico programmatico, introdotto ad hoc, artificioso ma capace di performare la società e i suoi costumi: si veda la retorica – per sé anti-femminista – del GENDER
  4. Slittamento tematico. Requisizione a senso unico di espressioni e termini per sé polivoci e ancora contesi nei dibattiti dei movimenti femministi e non sul globo. Mentre il costante riferimento alle libertà si rivela sempre più un investimento a senso unico per la libertà e gli interessi del mercato, e non delle persone.

Auspica la Roccella: “Le donne, storicamente portatrice di una cultura dell’accoglienza e delle relazioni, di un’utopia minimalista e non violenta che ha conservato e mandato avanti il mondo, sapranno, alla fine, da che parte stare“.

Sì, alla fine, ma speriamo prima della nostra.