KGB e Teologia della Liberazione

La notizia è una bomba, così bomba da risultare né nuova né plausibile. O forse sì? La rilancia il giornalista catto-liberale John L. Allen Jr. su Cruxnow: Ion Mihai Pacepa, generale dei servizi segreti rumeni sotto il Comunismo, avrebbe dichiarato la responsabilità piena del KGB nalla diffusione della Teologia della Liberazione in Sud-America. Allen coglie al balzo la soffiata, per ricostruire il composito sviluppo della teologia cattolica amerinda degli ultimi decenni. In una ricostruzione che si divincola tra teorie della cospirazione, pacifici scambi culturali, nazionalismo, guerra fredda, convegni pubblici e interessi privati veniamo ad accostati tra loro nomi quali KGB, FARC, Castro, Medellin, chiesa evangelico-pentecostale, Nelson Rockefeller, Moon, Hare Krisna, Council for Inter-american security, Reagan, Gaudium et spes, Boffo, Camara, mi-fermo-che-è-meglio. Ora, io non so, non voglio sapere e non mi interessa sapere se queste ricostruzioni storico-politiche siano plausibili e fino a che punto lo siano – Allen suggerisce che appoggi ed applausi da fuori abbiano più che altro incentivato e facilitato lo sviluppo di innovativi movimenti autoctoni ed autonomi: lascio a voi di soppesare i ruoli. Al sottoscritto basta attestare che l’evoluzione teologico-pastorale del cattolicesimo in Sud America ammicca a posizioni risultanti dal peggior shakeraggio possibile e immaginabile: capitalismo e comunismo, finanza-massonica e soviet, fondamentalismo e nuove religioni. Influenze apparentemente antipodiche, peraltro accumunate da un paio di idiosincrasie strategiche: per il papato, per l’Eucaristia, per la dottrina. Confidiamo in Francesco, che vagli e confermi – se proprio si deve assumerle –  il meglio e non il peggio delle due vene colonialiste evocate.

Scritto per Campari e De Maistre

L’Osservatrice Romana

Articolo apparso in due parti su Campari & De Maistre lo scorso agosto.

Prima parte

Seconda parte

***

Benedetto XVI è stato realmente un alter Benedictus, capace di offrire al mondo una regola fatta di pensieri e forme che, se eseguiti docilmente ed umilmente dai fedeli, avrebbero innescato l’auspicata riforma ecclesiale, lenta e irrefrenabile, come fu l’ascesa benedettina a tutto pro dell’Europa cristiana.

Francesco si sta confermando in questi mesi come alter Franciscus, uomo di fede profonda e vissuta, attraversato da un carisma che cattura e spiazza, immediato e ad effetto, che potrebbe rinvigorire la Chiesa dal basso, qualora venisse ben recepito e non strumentalizzato dal popolo. Però, come Franciscus, così Francesco non sembra tanto uno da regole scritte.

E qui sta l’insidia. In quanto strumentalizzare Francesco diviene facile (con Benedetto XVI bisognava invece ricorrere all’indifferenza o alla calunnia). A volte più banalmente si rischia di non capire davvero cosa voglia dirci, e di mettergli in bocca qualcosa di nostro anziché qualcosa di suo. Temo che questo sia avvenuto anche gli scorsi giorni, particolarmente in riferimento al discorso sulla donna che Francesco avrebbe svolto durante il colloquio con i giornalisti a Rio. Ho in mente in particolare un articolo di Lucetta Scaraffia per OR.

Mi sia concessa un’ampia premessa generale.

I PARTE

Personalmente non condivido la linea ‘femminilista’ dell’OR, capitanata dalla stessa Scaraffia, di dedicare un inserto alle Donne. Non solo perché rischia di commercializzare l’OR, quasi fosse un quotidiano di grido e dovesse per questo far concorrenza a “La Repubblica delle Donne” e simili. Ma molto più perché reputo ideologicamente falsa l’opzione di trattare la donna come un ‘diverso’. Costanza Miriano pochi giorni fa, scrivendo una lettera ad un amico omosessuale, precisava: “avrei voluto scrivere caro amico omosessuale, ma perché dovresti essere definito dal tuo orientamento? Io non mi definisco mai eterosessuale, e mi offenderei se qualcuno lo considerasse il mio tratto distintivo”.

Ora, mi chiedo se abbia senso che il quotidiano della Santa Sede metta in rilievo la differenza di genere come tratto distintivo del e nel Popolo di Dio. So che la sessualità ha a che vedere con il divino – stante la teologia cattolica –, ma allora avrei chiesto un inserto sulla sessualità – maschio e femmina li creò – e non sulle donne. La scelta di isolare l’attenzione sulle donne non manca infatti di retaggi sessantottini, che si inscrivono in una triste parabola: quella che dal progetto rivoluzionario di emancipazione economica marxista, scivola nel progetto rivoluzionario di emancipazione femminista, per puntare sul progetto rivoluzionario di emancipazione omosessualista, fino all’inquietante manifesto cyborg-transessualista ispirato a disumani pastiche arazionali. Che questo sia il piano inclinato prescritto dalla logica rivoluzionaria è ben dimostrato dagli studi di Judith Butler e Donna Haraway. Che in realtà possiamo fermarci a realizzazioni meno drastiche dell’anarchismo post-nichilista delle due su citate, è cosa auspicabile e storicamente possibile. Che attualmente siamo pencolanti tra la seconda e la terza delle fasi da me tratteggiate in modo semplificato, è patente a ciascuno. Che la linea ‘femminilista’ di OR rischi di prestare il fianco al degrado rivoluzionario, mentre cerca di tamponarne gli eccessi con lo strizzare l’occhio al ‘lato buono’ del femminismo, è un timore da cui non mi sento libero; specie dopo aver letto certi articoli su OR.

Tutto questo – l’apertura strumentalizzabile di Papa Francesco e la logica para-femminista ingenua di OR – mi rende di certo più suscettibile davanti a certi proclama. Ben venga una valorizzazione del femminino religioso, ben venga l’incentivazione di una “teologia della donna”, ma siano fatte con la fede di Francesco. Quella fede per cui il Papa trasuda preghiera e affidamento anche mentre compie un gesto di bassa levatura, quale il porre un palloncino gonfiabile sull’altar maggiore in Santa Maria.

Ora mi chiedo: noi siamo in grado di fare una teologia della donna che ci riporti all’essenziale – cioè Dio e non la donna; eventualmente facendoci cogliere come ci si avvicini a Dio attraverso lo specifico della forma femminile – e che alimenti la nostra fede? La nostra preoccupazione in questo ambito è legata al divino e alla vita eterna, o continua ad essere generata da un rancore più o meno velato circa il maschilismo e dintorni?

II PARTE

Veniamo ora all’articolo della Scaraffia: “Le novità di Papa Francesco”.

L’autrice riconosce di non volersi omologare al femminismo occidentale, le parole del Papa infatti non sarebbero pronunciate “in nome dell’improrogabile necessità di adeguare la Chiesa alla parità fra i sessi realizzata nelle società occidentali”, ma arriva a dire che “senza un riconoscimento aperto del ruolo delle donne non si può sperare in quella Chiesa vitale e accogliente che Papa Francesco desidera… E se questo rapporto langue, non è vivo ed è rinnegato, come avviene oggi, la Chiesa non cresce”. Io mi chiedo dove e in che senso languisca questo rapporto. E non trovo risposta nell’esperienza di vent’anni di parrocchia. Certo, il Papa ha aggiunto: “Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa. Soltanto può fare questo, può fare quello, adesso fa la chierichetta, adesso legge la Lettura, è la presidentessa della Caritas … Ma, c’è di più! Bisogna fare una profonda teologia della donna”.

Ma allora dove sta il problema? Se la donna può già fare, come può fare, un po’ di tutto, eccetto diventare prete, dove sta il punto nodale? Il Papa sembra guardare alto, invoca i teologi. La Scaraffia qui mi sembra rimestare la moina della discriminazione, più adatta a certe “zitelle” che a certe “madri” di franceschiana memoria.Ma la storica non è ancor paga. E prosegue: “Il coraggio di dire una verità, come tutte le verità anche ovvia, ma che nessuno prima di lui aveva osato, cioè che ‘Maria è più importante degli apostoli’, non gli impedisce di escludere il sacerdozio femminile, ma al tempo stesso di chiedere un supplemento di studi e riflessioni per capire come realizzare questa parità nella differenza”.

E’ qui che rimpiango Benedetto XVI. La verità cattolica non può essere ridotta a dichiarazioni da tabloid e a presunti scoop editoriali. Anzitutto la verità non è ovvia, ma è frutto di faticose ricerche, altrimenti non ci si scontrerebbe su questioni centrali dell’umanità e della fede. L’ovvietà del primato mariano, nella fattispecie, dipende e risplende in almeno due ordini di manifestazione (entrambi sapientemente coltivati da Benedetto XVI): la liturgia e il dogma. Il fatto che l’eccellenza creaturale mariana sia stata dogmatizzata a più riprese – su aspetti mica tanto ovvi, visto che l’ultimo dogma ha dovuto attendere la metà del secolo scorso, e pare ci siano premesse per pronunciamenti ulteriori –, nonché l’antichissima attenzione liturgica orientale ed occidentale per la Madonna, che non conosce equivalenti nella Chiesa trionfante, mostrano che il cattolicesimo ha conquistato con fatica e coraggio fin dall’antichità una verità sublime e soprannaturale (è ancora lecito per un cattolico usare questo termine?). Con tutto l’amore a Francesco, non avevo bisogno delle sue risposte scherzose ai giornalisti per sapere della supremazia della Madonna in quanto donna rispetto al genere umano.

Ma la Scaraffia ha cultura cattolica o no? Sono certo di sì. E allora com’è che mostra di non riconoscere l’abc del verum cattolico?

Segue la professione rivoluzionaria: “può cambiare tutto senza cambiare le regole di base, quelle su cui si è costruita la tradizione cattolica”. Mi torna in mente Chesterton: “Questo è rivoluzione: andare, andare e girare in tondo, tornando da dove si è partiti!” Ovviamente l’OR non vuole essere rivoluzionario, ma dunque che vuole essere? Anche Benedetto XVI e Francesco usano il termine “rivoluzione”, mi si dirà, però il significato del termine nei due pontefici si chiarisce nel contesto del loro stile e delle loro dichiarazioni complessive, ma che dire del significato di rivoluzione nel contesto del femminilismo OR? Messa in salvo la buona preparazione e intenzione dei redattori, siamo certi che lo comprenderanno bene i loro lettori? Anche qui, a mio franco avviso, troppe ambiguità: l’OR dovrebbe chiarirmi e non confondermi le idee sugli slanci carismatici del Papa. Si vede che chiedo troppo…

A proposito del Papa, delle aperture e della rivoluzione che cambia senza cambiare… “questa è la sua posizione anche sugli omosessuali. La Chiesa non deve essere una rigida dispensatrice di giudizi, ma deve essere sempre pronta ad accogliere i peccatori, cioè tutti noi”. Questa in realtà è la posizione del cattolicesimo. Non del Papa. Comunque – in questo concordo con Lucetta – siamo contenti che Papa Francesco sposi posizioni care alla Chiesa cattolica (ma due righe più sotto lei stessa riconosce una certa precedenza almeno cronologica del Catechismo su Francesco).

E quale sarebbe lo scoop do Francesco in merito? “Anche a questo proposito Papa Francesco non cambia nulla delle regole morali, ma cancella un moralismo rigido e pettegolo, e con poche parole allontana dalla Chiesa cattolica quell’accusa infamante di omofobia che l’ha perseguitata negli ultimi tempi”. E qui annaspa parossisticamente il gusto chiacchierino dell’informazione cattolica contemporanea: secoli di evangelizzazione cristiana non avrebbero potuto scamparci dall’attraversare oggi una stagione di discriminazioni maschiliste, mentre una sola parola del Papa allontanerebbe ogni accusa infamante. Mi pare si esageri, per eccesso o per difetto, in molte espressioni. Gli scritti di Paolo VI sulla donna sono insufficienti, l’approfondimento fenomenologico di Giovanni Paolo II su amore e famiglia attirano infamie, l’umiliazione di Papa Benedetto XVI dinanzi alle vittime degli abusi pedofili non smuovono nessuno, ma se Francesco lancia due sfottò su un aeroplano tutto s’aggiusta. Qui qualcosa non quadra. Forse conviene scendere dal velivolo, piantare i piedi in terra, e ripensare quanto abbiamo da dirci.

La Chiesa è realtà ben più complessa, non è questione di media e di soluzioni subitanee, non è rivoluzionabile in quattro e quattr’otto. Servono pazienti riforme che partano dal cuore: questo è il messaggio su cui Benedetto XVI ha insistito fin nei suoi ultimi discorsi nel Febbraio scorso. Mi stupisce che una storica non veda tutto questo. O forse obbedisce solo a una linea editoriale. E sono contento che Papa Francesco abbia “un bagaglio di esperienze umane che oggi illuminano il suo pontificato, riscaldano ogni suo discorso e gli danno quel tono di verità che fa comprendere e amare le sue parole”, ma ero contento anche del bagaglio di conoscenze teologiche e canoniche di Benedetto XVI, forse non scaldava emotivamente il cuore, ma dipanava problemi di grande mole, e offriva orizzonti chiari. Così chiari che nessun editoriale poteva sviarne il messaggio.

Seguo con amore il Magistero di Papa Francesco, in quanto Papa, uomo di fede, attraversato da un carisma genuino. Però, cortesemente, per quanto lui ci tenga ad essere un comunicatore diretto e popolare, almeno i cosiddetti intellettuali cattolici, che scrivono su testate che tanto il popolino non legge, potrebbero offrirci un’immagine più solida del nostro Pastore e Padre? A me del Papa-Simpa me ne fa un baffo.

Concludo con due frecciate.

La prima: mi diverte tantissimo il commissariamento dei Francescani dell’Immacolata. Voci pettegole dicono che tra i problemi additati ci sia un eccessiva influenza della Madre generale delle Francescane dell’Immacolata sulle scelte del Padre generale nonché fondatore dell’Ordine. Chissà che non si trovi qui uno spiraglio di comunione tra femministe e movimenti tradizionalisti.

La seconda: una citazione di santa Teresa Benedetta della Croce.

Il profondo principio formale dell’anima della donna, poi, è l’amore, quale sgorga dal Cuore divino; l’anima muliebre può far proprio questo principio profondo, se rimane strettamente unita al Cuore divino mediante una vita eucaristica e liturgica” (“Ethos della professione femminile” in “La donna”, Città Nuova, p. 66).

E purtroppo, duole dirlo, quando la Stein parla di liturgia, ha in mente quella fatta di ginocchia piegate, di silenzio, di contemplazione, di sacrificio. Senza chierichette.

Donne, riflettete sul vostro ruolo nella Chiesa, ma fatelo da donne sante, da donne di Chiesa. Non da frustrate o da intellettualiste.

Pio IX. Fiction o storia?

Articolo pubblicato su Campari & De Maistre lo scorso 11 aprile.

“L’ultimo Papa re” è il titolo della fiction di Rai 1 trasmessa nelle serate dell’8 e 9 aprile, omaggio di Luca Manfredi a una pellicola in cui recitò suo padre nel 1977 (“In nome del Papa re”). Siccome l’esito non è dei più entusiasmanti, il regista ha pensato bene di esplicitare qualche chiave di lettura ideologica che invitasse alla visione:

“nel ricordo di uno dei più bei film recitati da papà, mi auguro che sia chiaro l’intento e il messaggio contenuto nella serie: il confronto tra una Chiesa reazionaria e attaccata al potere e una Chiesa più pastorale e progressista”.

Mi è tornato subito alla mente il libro di Roberto de Mattei “Pio IX e la Rivoluzione italiana” (Cantagalli, 2012), dove si argomentano, non in onore di papà ma pro dilectione veritatis, i fatti e le ragioni del contrasto tra Pio IX e gli altri. Converrà rileggerlo assieme per sommi capi.

Il testo si divide in due parti: ricostruzione storica degli eventi e ricapitolazione teologico-culturale dei maggiori pronunciamenti di Pio IX. Quanto alla prima parte, evito di ricostruire i noti fatti della Questione Romana e mi soffermo sul loro valore, come emerge dallo studio.

Partiamo dai personaggi.

Il quadro ci presenta anzitutto un vivaio di cospiratori, con quartier generali negli Stati Pontifici (l’Alta Vendita di Nubius), progetti nitidi di “radicale comunistizzazione della società” (Filippo Buonarroti, p. 23), coinvolgimento di personalità incensurate (Gioberti). Costoro, e molti altri, gestiranno la pariglia fino a che si passerà dalla rivoluzione delle barricate alla rivoluzione dei bureaux, cioè alla cospirazione fatta legge e Parlamento, con Cavour – il quale “tracciava alla Camera il programma di cui, come è stato avvertito, la storia italiana postunitaria sembra rappresentare, fino ai nostri giorni, il puntuale svolgimento” (p. 85) – e i governi anticattolici internazionali – “non è un caso che le terre da liberare siano solo quelle appartenenti allo Stato Pontificio e all’Austria cattolica e conservatrice”, mentre “Nizza e la Savoia vengono cedute alla Francia, sempre straniera ma amica” (p. 79) –.

Ma il nostro protagonista è Giovanni Mastai Ferretti, nato il 13 maggio (un giorno che i cattolici impareranno a tenere particolarmente a cuore, specie in riferimento all’azione mariana nella storia, specie dopo il 1917): Pio IX per gli amici.

Quanto agli eventi romani unitari, il Metternich li descrive così: “ciò che si è prodotto in questo Stato è una rivoluzione che si copre della maschera delle riforme” (p. 39). Maschera che verrà meno prima con la proclamazione della repubblica Romana e poi con la presa di Porta Pia, vero e proprio “Ottantanove d’Italia”.

Ferma la risposta del beato, fin dall’allocuzione concistoriale del ’48, con la quale si oppose ai cospiratori e con ciò siglò “una pagina di storia scritta ai piedi del crocifisso”, mettendosi lui stesso in croce in quanto “la rivoluzione esigeva una sanzione alle sue dottrine… egli invece condannò le sue opere” (p. 46).

Segue, da parte rivoluzionaria, il solito canovaccio costellato dalle “occupazioni di conventi, le profanazioni delle Chiese, i massacri di sacerdoti, le orge nei luoghi sacri” (p. 57); sul lato opposto si svela “la tiepidità dei conservatori” i quali “mancano per lo più di ardimento e son più disposti a soffrire che ad agire” (p. 50). Su tutti però si impone la fermezza del Papa, il quale senza mezzi termini riconosce che “i potenti della terra sono divenuti adulatori della rivoluzione” (p. 75), e alle adulazioni degli adulatori ribatte: “se per la speranza di salvarci incominciamo a cedere questo e poi quello, ci sarà chiesto sempre di più: oggi consegneremo il pastorale, domani ci spoglieremo del piviale, finalmente ci toglieremo e doneremo il triregno, e con tutto questo non ci salveremo” (p. 64). E così, non per far sfoggio di beni ma per contrapporsi alla mentalità rivoluzionaria, il Papa mise in disparte le velleità di riforma dei suoi primi mesi di pontificato e rinverdì il valore della massima Istituzione cattolica.

Per questa via e per queste ragioni si approderà rapidamente al non expedit. In un precipitare di eventi che lascerà agli anarchici e ai fautori del pauperismo cattolico una libertà di azione, salutata in questo modo da Cesare Cantù: “distruggete i Comuni, distruggete la famiglia, distruggete i codici, distruggete le autonomie, distruggete le barriere d’Italia; or distruggete la Chiesa, distruggete lo Stato e prima avete distrutto la libertà” (p. 93). Mentre nelle stesse teste dei cattolici andava annebbiandosi la verità che “il principato temporale del pontefice costituisce la condizione necessaria per il libero esercizio della sua autorità spirituale e la questione romana non è una questione politica, ma una questione eminentemente religiosa “ (p. 109). Il potere temporale insomma di per sé non è contrario al Vangelo, anzi opera per la difesa e diffusione di questo.

Lo scarto tra le scimmie della Rivoluzione e il Pontefice dell’Immacolata sta dunque dentro tali coordinate: tra chi riconosce nei fatti storici il dispiegarsi di un disegno divino, del cui svolgimento l’umanità porta non poche responsabilità; e chi invece riduce il tutto a una resa di conti capricciosa tra avversari di questo mondo.

Veniamo ora brevemente alla seconda parte del libro.

Qui si prendono in considerazione tre atti del pontificato di Pio IX: la proclamazione del Dogma dell’Immacolata, la pubblicazione del Sillabo e l’indizione del Concilio Vaticano I. Tre autentici schiaffi in faccia alle ambizioni rivoluzionarie.

Mi limito a qualche pennellata solo attorno al primo dei tre, che peraltro fa da base ai due interventi successivi. Ancora una volta, la necessità di proclamare il dogma si lega alla convinzione, sempre più diffusa negli ambienti pontifici, che “solo questa definizione dogmatica potrà ristabilire il senso delle verità cristiane e ritrarre le intelligenze dalle vie del naturalismo in cui si smarriscono (p. 124).

Lo spiega bene Donoso Cortes: “la negazione del peccato originale è uno dei dogmi fondamentali della rivoluzione” (p. 134). Proclamando Maria Immacolata, il Papa agiva dunque in risposta all’impeto anticattolico dei tempi e mostrava in essa l’antidoto “agli errori contemporanei il cui fulcro era costituito dalla negazione del peccato originale” (p. 133). E con ciò è pure assodato che “il privilegio dell’Immacolata deve essere considerato dunque non in maniera astratta e statica, ma nella sua proiezione storica e sociale” (Ibidem): i dogmi non sono pallini del Papa di turno, ma risposte potenti alle emergenze storiche.

La vera ermeneutica del dogma – oso chiosare – non deve consistere in una resa dei conti tra indirizzi teologici contrapposti, ma nella volontà di rinvigorire nel modo più efficace possibile la portata storico-sociale anti-rivoluzionaria del medesimo.

E credo sia questo in sintesi l’ottimo insegnamento che ci lascia Pio IX. La consapevolezza cioè che la rivoluzione è “organizzazione sociale del peccato” (p. 136), e che ad essa bisogna rispondere con una azione uguale e contraria, quindi sociale e aperta alla Grazia. Non è questione di denigrare il dialogo, o di chiudersi nei bastioni di nostalgismi stantii, ma di riconoscere che “la lotta tra il Serpente e la Vergine, tra i figli della rivoluzione e i figli della Chiesa, si delinea come lotta totale e irriducibile tra due famiglie spirituali”, e che essa è viva e attuale, e che quindi è dovere schierarsi – semplici come colombe ma prudenti come serpenti –, tenendo caro l’ammonimento di san Luigi Maria Grignion di Montfort: “Dio ha posto inimicizie, antipatie e odi segreti tra i vari figli e servi della Vergine Maria e i figli e schiavi del demonio” (p. 137).

Rinunciare a tanta sfida, o ridurla a mera fiction… non expedit.

Inquisizione: studi recenti

Riporto per intero l’articolo di Daniele Di Luciano, comparso lo scorso 2 febbraio sul sito www.losai.eu, dal titolo Inquisizione: ci hanno preso in giro per secoli.

Nel 2012 la storica Marina Montesano dell’Università di Genova ha pubblicato il libro “Caccia alle streghe (Salerno Editrice 2012) con la quale ha evidenziato come il fenomeno dell’Inquisizione sia innanzitutto Rinascimentale e non si sviluppò nel Medioevo (che invece la vulgata definisce i “secoli bui dell’inquisizione”). Nell’intero periodo tra metà Quattrocento e metà Settecento le condanne alla pena capitale oscillano tra le 40mila e le 60mila e l’area geografia maggiormente coinvolta in questa pratica fu quella germanica e proteste. Al contrario, l’Inquisizione spagnola -cattolica, per capirci meglio- «ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale».

In questi giorni un altro storico ha pubblicato un libro sull’argomento. Si tratta del britannico Christopher Black con il suo Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura (Carocci 2013), recensito da Paolo Mielisul Corriere della Sera. Mieli spiega: «Già Adriano Prosperi — con Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori e missionari (Einaudi) — anni fa aveva sfatato la tesi, tramandataci dalla storiografia anticlericale, secondo cui l’Inquisizione romana fu nient’altro che un “tribunale sanguinario”». Ora lo storico Black«documenta meticolosamente come le sentenze di morte furono “relativamente poche” se confrontate a quelle di quasi tutti gli altri tribunali italiani, la tortura “più rara”, e si diedero ai “rei” concrete opportunità di “patteggiamento della pena”».

Quella che riguarda l’Inquisizione, prosegue Black, non fu «una storia così macabra come le leggende e i pregiudizi possono suggerire», né si può dire che assomigli «alle immagini dedicate da Francisco Goya alle ultime fasi dell’Inquisizione spagnola». Dopo il Medioevo, nell’area in cui operava l’Inquisizione, la tortura era in larga parte «più selettiva, fisicamente meno aggressiva e meno raccapricciante e fantasiosa» di quella che è oggi praticata in molti Stati moderni, o di fatto accettata, attraverso «misure legislative straordinarie di estradizione che violano in vario modo le convenzioni internazionali e i diritti dei prigionieri».

Paolo Mieli spiega che anche John Tedeschi, in Il giudice e l’eretico. Studi sull’Inquisizione romana (Vita e Pensiero), ha efficacemente raccontato come l’Inquisizione romana sia stata tutt’altro che «una caricatura di tribunale», un «tunnel degli orrori», un «labirinto giudiziario dal quale era impossibile uscire». E la storica Anne Schutte ha spiegato, con molti validi argomenti, che quel sistema inquisitoriale ha «offerto la migliore giustizia criminale possibile nell’Europa dell’età Moderna». La Schutte ha anche invitato a riflettere sul fatto che ci furono Papi, come Paolo III e Pio IV, i quali ebbero un approccio«morbido» a questi temi; che un discreto numero di vescovi tra il 1520 e il 1570 abbracciarono idee di «riforma», e altri si batterono per «porre un freno alla severità degli inquisitori e limitarne l’intrusione nelle credenze personali». Tra episcopato e inquisitori si ebbe, in altre parole, un rapporto più che dialettico.

Black afferma di condividere le argomentazioni di Adriano Prosperi e Simon Ditchfield secondo cui«l’Inquisizione romana, nonostante il suo lato oscuro, è stata anche una forza creativa ed educativa, che ha contribuito a definire e influenzare la cultura italiana almeno fino al XIX secolo».

Concordiamo comunque con il suo avvertimento:  «Correggendo le esagerazioni della “leggenda nera”, spero però di non alimentarne una “rosa” o “grigia”», rimane il fatto che il fenomeno in sé-come conclude Paolo Mieli, «non è certo idilliaco. Tuttavia ciò che più colpisce è che quello delle diverse inquisizioni appare come un mondo sfaccettato, incoerente, a tratti persino contraddittorio. Del quale restano impressi gli intrecci tra giustizia e politica, che si presentano assai simili a quelli tornati alla luce cinque secoli dopo».

Io avevo toccato il tema in alcuni articoli precedenti

Streghe 1

Streghe 2

Inquisizione 1

Inquisizione 2