Il Grande Inquisitore (3/4)

CACCIARI: teologia politica, katechon e mitomanie

E infine un terzo autore, curiosamente anche lui approdato all’Ateneo del San Raffaele, più intrigante dei precedenti: Massimo Cacciari. Trovo una sua lettura del Grande Inquisitore incastonata nella riflessione teologico-politica sul katechon. Il katechon, il potere che frena, al confine tra Cristo e Anticristo, è lì che si colloca l’Inquisitore. Delle tre, certamente la lettura più profonda e radicale, comunque aperta all’idea che il freno demorderà, e che allora l’Apostasia potrà dilagare.

L’anticristicità che l’Inquisitore professa è rigorosa. (p. 102)

Non nega la divinità del Cristo. Ma nega il Cristo punto e basta.

L’anticristicità diviene per lui condizione dell’agire catecontico. (p. 103)

L’unico modo per frenare l’Apostasia è frenare Cristo. Cristo infatti è la causa di quel declino che porterà all’Apostasia.

E’ dal nomos della croce che una tale energia si sprigiona inesorabilmente. Quel nomos spalanca l’abisso della libertà in cui l’uomo, insalvabile in-fante, non può che precipitare. (Ibidem)

In alternativa si concepisce l’azione dell’Inquisitore

Egli impersona il movimento per cui il katechon si supera… Katechon si traduce per lui in potere coercitivo, aperto a nulla, poiché in nulla si trascende, in nulla è redimibile, la natura stessa dell’esserci. (p. 104)

Questa disperazione circa la redimibilità dell’uomo produce una simile figura storicaL’inquisitore non è un legatus dell’Antikeimenos, “viene da noi”  (p. 105) – che sta dalla parte dei dèmoni proprio fingendo di esserne il più radicale oppositore. (p. 104).

Ovviamente l’Inquisitore è destinato a fallire. Incapace di “ritardare” l’effetto cristico dell’esasperazione della libertà, si scopre sempre e solo “in ritardo”, e comunque sottoposto al giudizio spiazzante di Cristo nel Suo bacio. (cf. p. 106)

Nulla intuisce di poter fare per arrestare il giudizio.  Esso verrà, e gli suonerà profondamente ingiusto. Perché il metro su cui verrà formulato è per lui profondamente estraneo alla natura dell’uomo e della sua storia. (p. 107)

M. Cacciari, Il potere che frena, Adelphi, Milano 2013.

Cacciari è d’accordo con De Monticelli: l’Inquisitore ha paura della libertà anomica suscitata dal proto-rivoluzionario Cristo.

Mancuso invece si perde nelle secche di un’apologetica anticattolica molto superficiale e strumentale.

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Precedendte… secondo Roberta De Monticelli (1 di 4)

Precedente. secondo Vito Mancuso (2 di 4)

Continua … secondo Karl Schmitt (4 di 4)

Versione integrale

La cristianofobia di Ravasi

I tradizionalisti si stanno abituando ad esser presi a pesci in faccia dagli altri cattolici.

E’ capitato con l’articolo – per quanto minuto – di Famiglia Cristiana, dove i campioni dell’avanguardia informativa hanno peraltro mostrato di non conoscere nemmeno lo status quo delle vicende, figuriamoci che succede quando passano alle interpretazioni.

E’ capitato ieri con il luminosissimo cardinal Ravasi, il quale in un’intervista imbarazzante non ha perso l’occasione di umiliare i tradizionalisti, bollandoli a massa di ignoranti, salvo poi tentare un elogio francamente deboluccio del ritorno al latino nella Chiesa. Colafemmina in un articolo da brivido risponde al cardinale con una lettera interamente in latino (subito seguita da una traduzione in italiano, al fine di facilitarne la comprensione a quelli di Famiglia Cristiana), precisando che se c’è qualcuno che oggi studia ancora latino nei seminari… questo qualcuno sono proprio i movimenti di orientamento tradizionale. Ma tanto fa.

Ho commentato Colafemmina sul suo blog, e riporto tali e quali quei pareri stesi di getto. Se per piacere a Ravasi bisogna essere atei incalliti, mi dispiace, ma credo che farò di tutto per continuare a dispiacergli.

Intervento meraviglioso che mostra in modo dirompente l’assenza di ragioni fondate in questo schieramento antitradizionalista dei benpensanti acclamati. Tradizionalismo non significa ignorante, Colafemmina l’ha prontamente mostrato. Mi sovviene che con una delle rare espressioni latine sopravvissute al mondialismo contemporaneo, le facoltà teologiche amano ancora tuonare “doctus romanus asinus germanus”: a lode della teologia novella e a scorno della formazione tradizionale. Ma non si tratta di dottrina e di lauree, si tratta di fede, di forma mentis, di weltanschauung, di apertura e predisposizione spirituale. Cardinali ed esegeti in linea, ficcatevelo bene in testa: non torniamo alla tradizione perché abbiamo studiato troppo poco, ma perché abbiamo studiato troppo, e abbiamo visto che dietro alle vostre parole smaglianti non luccica alcun tesoro speciale. Torniamo alla tradizione perché le enciclopedie e le proteste di piazza non hanno sostituito in nulla ciò che solo la fede schiettamente cattolica può darci, passando attraverso i mezzi dell’ascesi, del pulchrum liturgico, del diritto e dei tesori che la Tradizione ha conservato (e alla quale torniamo a volte in modo dirompente per il semplice fatto che nella ‘testimonianza esistenziale’ di molti pastori non ne vediamo più traccia alcuna, e non ci fidiamo del baratro in cui ci vogliono condurre). Appariremo per questo stupidi? E’ un prezzo da pagare in questo mondo. Caro cardinale, si ricordi che non ce ne importa nulla di tecnologia, applausi, lezioni, sussiego. Ridateci Cristo: è il vostro unico dovere di porporati. O almeno piantatela di sottrarcelo e di incriminarci, trattandoci con una severità che da tempo non investe più nemmeno i gentili del Cortile. Non chiediamo che tutti comprendano la sensibilità tradizionale, ma almeno che non la discrimino e non la rendano oggetto di intolleranze sottili. E’ questione di giustizia e di rispetto. Finché mancherà questa, con che ipocrisia si continueranno a spendere lezioni di carità dai pulpiti?

Quoniam si inimicus meus maledixisset mihi,
sustinuissem utique;
et si is qui oderat me, super me magnificatus fuisset,
abscondissem me forsitan ab eo.
Tu vero, homo coaequalis meus,
familiaris meus et notus meus,
qui simul habuimus dulce consortium:
in domo Dei ambulavimus in concursu.
Veniat mors super illos,
et descendant in infernum viventes,
quoniam nequitiae in habitaculis eorum,
in medio eorum.
Ego autem ad Deum clamabo,
et Dominus salvabit me.
Vespere et mane et meridie meditabor et ingemiscam,
et exaudiet vocem meam.
Redimet in pace animam meam ab his, qui impugnant me,
quoniam in multis sunt adversum me. (Ps .54)

La Chiesa dei falliti

(Don) Vito Mancuso, figlio spirituale del compianto Martini, è ormai il guru indiscusso della diocesi ambrosiana e oltre. Tornielli ha pure scelto di battibeccarci insieme, spererei per dirgliene quattro, ma ne dubito: del resto Tornielli è un vaticanista, mica un prelato.

Ma coi prelati stiamo messi non molto meglio, visto la piega leggera che sta prendendo il Cortile dei Gentili, la faraonica kermesse, nel cui programma c’è di tutto, persino un laboratorio di scrittura creativa, tranne una Messain cui un dotto Ravasi si ostina a non esporsi, lasciando che gli ateologi di turno sfilino in passerella e si facciano pubblicità. La cosa è divenuta così patente che persino quegli sciatti irenisti dei miei docenti di teologia non hanno potuto tacerla in classe

Di questo passo, lungi dal trasformare i praticanti in credenti (mantra caro a Fratelenzo – ovviamente presente ad Assisi con Ravasi, nonostante la riluttanza ad abbandonare la propria cella), perdiamo anche quei pochi praticanti che ci sono rimasti dopo la diaspora post-conciliare.

Niente paura, a sistemare le cose nell’Anno della Fede hanno già provveduto i paolini affidando a (don) Paolo Curtaz un’intera collana di testi, così alla scuola di un modello tanto esemplare ed eccelso non ci sono dubbi che il popolo rifiorirà.

Da parte sua don Gallo, trottola impunita della diocesi genovese, continua a diffondere diffamazioni, e nei suoi interventi

ne ha per tutti, vomita i suoi veleni senza freni, senza controllo. Tanto da non risparmiare neppure Papa Benedetto XVI, ch’egli definisce un «sepolcro imbiancato», “rintanato” in un «nascondiglio dorato». Accusa la Chiesa di esser divenuta «una cappellania dei potenti».

Una scheggia, questa, che fa eco al più ermetico testamento del grande Duce postconciliare:

Io vede nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali… la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio.

Non basta, Avvenire ci regala un meraviglioso dittico in cui applaudire i modelli (della fede?), in una sorta di scimmiottatura del cristiano anonimo in musica sfavillano le figure di Giorgio Gaber e Fabrizio De André, e sono scimmiotte che evolvono nell’elogio sperticato a Theillard de Chardin, uno bastonato da Pio XII, sferzato dal documento Gesù Cristo portatore dell’acqua,  che ora verrà celebrato alla Pontificia Università Gregoriana.

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Subisco impotente questa cascata di notizie imbarazzanti e resto perplesso e demotivato. Quand’è che la Chiesa ricomincerà a parlare anche noi, cattolici senza troppe ambizioni e senza troppe frustrazioni?

Poi tento una timida reazione e cerco di chiedermi come mai i vescovi spendano migliaia di euro per fare un Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. A che pro? Bisogna cambiare la cultura, la mente. Tenere le intelligenti aperture conciliari, ma resettare il contesto rivoluzionario che le ha svezzate e non vuole più lasciarle uscire di casa: è la sindrome di Peter Pan dei catto-sessantottardi!

Ditemelo, ditemelo, ve ne prego, che le mie sono letture superficiali di fattori assai complessi. E poi fatemi vedere quando mai alla gente scema come il sottoscritto questi fattori complessi vengono spiegati. Mai. Mai. Oppure a spiegarli portate Fratelenzo o un libro di (don) Curtaz.

E’ una serpe che si morde la coda, un circolo vizioso di sciatteria: abbandono della giusta militanza, apprezzamento delle figure eterodosse, incoraggiamento alla diffusione di idee anti-cristiane, emergenza di modelli border-line, disprezzo della fede popolare media, offerta di maestri inaffidabili ma presentati (preti in crisi vocazionale) sotto mentite spoglie (maestri di spirito e teologia), celebrazione di ante-papi e anti-romani i più svariati, canonizzazione di un concetto di Chiesa per i fragili, i falliti, i disperati.

La Chiesa sembra la controfigura dei cinesi di De Chardin:

degli ‘infantili’ la cui stoffa antropologica sarebbe inferiore alla nostra. Inoltre la loro massa emana un’insuperabile forza di livellamento e di ‘dissoluzione.

Aveva ragione il Duce ambrosianoAbbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque. Ma una Chiesa basata solo su alternative ad oltranza (è la mia definizione della teologia martiniana) può produrre solo questo:

Scrive, sul “Giornale” del 15 ottobre 2012, l’eurodeputato Magdi Cristiano Allam: “Nel 2066 lo sheikh Ahmad al-Qataani, intervistato da ‘Al Jazeera’, diede queste cifre: ‘Ogni ora 667 musulmani si convertono al cristianesimo. Ogni giorno 16mila musulmani si convertono al cristianesimo. Ogni anno 6 milioni di musulmani si convertono al cristianesimo’”. Dopo aver riportato la denuncia dell’allarmato sceicco, il convertito Magdi Cristiano Allam aggiunge: “Innumerevoli sono le denunce fatte da musulmani che vorrebbero ricevere il battesimo ma si trovano di fronte al rifiuto di sacerdoti cattolici che non vogliono violare le leggi dei Paesi islamici che vietano e sanzionano con il carcere e talvolta con la morte sia chi fa opera di proselitismo sia chi incorre nel ‘reato’ di apostasia”.

Mi dispiace dirlo, ma ormai inizio a sperare nei Neocatecumenali. E nei cinesi: che zittiscano, almeno per orgoglio, i Miti del nostro tempo.

La Chiesa è in ritardo? Da Martini a Rauti

Sono un povero ignorante cresciuto tra operai socialisti e mitologie comuniste. Volete sapere perché siamo rimasti tutti in cattolici in famiglia? Perché abbiamo preso sempre poco sul serio e l’idolo della politica sinistrorsa e l’idolo delle politiche da sacrestia.

Volete sapere perché, nonostante il mio peccato originale marxista, non abbia alcun problema a leggere con interesse i pareri di vecchi fascisti (una delle poche categorie sui membri della quale si continui a pisciare anche da morti)? Perché leggo, confronto, e scuoto la testa.

Leggo il pastore esegeta di sinistra

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

Confronto con lo stronzo fascista evoliano:

Rauti era uno di quelli che al divorzio erano contrari per davvero e non solo perché così diceva il Partito ed espresse le sue considerazioni due giorni dopo il referendum, nell’articolo sopra citato. In quell’editoriale Rauti sosteneva che il principale argomento ad aver fatto presa sugli elettori fosse che, ormai, il divorzio ci fosse in tutto l’Occidente e che quindi fosse necessario stare al passo coi tempi. E così sferzava: “La verità è che non stiamo raggiungendo l’Occidente nella sua globalità […] ma galoppiamo solamente per attestarci sulla linea dei suoi vizi e dei suoi capricci. E’ vero che l’Olanda […] discetta seriamente di matrimonio tra gli omosessuali, ma è pur sempre una Nazione che […] lavora duramente, sulle terre strappate al mare, un’agricoltura di primordine; è vero che la Germania ha tante permissività oltre il divorzio, ma ha anche un’infinità di cose serie; e così anche gli Stati Uniti […]: hanno il divorzio sì, ma pure gli astronauti che passeggiano sulla Luna”.

E scuoto la testa