Porta fidei – come uscire indenni dal disastro ecclesiale. Istruttoria.

In oratorio incontro don A., giovane diacono a sei mesi dall’ordinazione sacerdotale, e non mi risparmio la più temibile delle domande: “lo sai a quale Anno ci stiamo preparando?”

Tutti sanno che siamo nell’anno in cui secondo i Maya, riletti à la New Age, finirà il mondo. Pochi sanno che siamo chiamati a prepararci e a preparare l’Anno della fede.

Non lo sa neppure il diacono, che pure predica ogni domenica dagli amboni di qualche chiesa, che pure non è  – assicura Satiricus – della schiera dei progressisti per i quali il Vaticano è solo la scusa per raccogliere un 8×1000 più abbondante e scongiurare ulteriormente il rischio di dover lavorare per mantenersi, che pure legge i libri del papa.

Ma nell’anno di diaconato bisogna concludere gli esami di sociologia, psicologia, economia, dare l’ultimo ritocco a una liturgia espressamente anti-benedettiana («perché, devi capire, che questo papa è un teologo e non un liturgista»… ma io non capisco); insomma tempo per i Motu Proprio proprio non ce n’è.

Morale della favola, conviene che almeno qui parliamo di fede e dell’Anno della fede. Chiaramente a modo mio. Per quel che ne posso capire, ché non sono né teologo né liturgista né papa. Grazie a Dio.

Anticipando qualche conclusione mi viene da chiedermi se sia un caso o no che il Pontefice attuale venga dritto dritto dagli uffici della Congregazione per la Dottrina della Fede (più speditamente: la Santa Inquisizione, che nei secoli scorsi ci risparmiò da tanti eretici, eresie e dunque da tante sofferenze personali e comunitarie inutili).

Il caso però non esiste. Esiste l’assistenza dello Spirito. E ancora, in ogni “caso” non si tratta di una assistenza magica, le fatiche del modernismo pre-vaticano2 e le derive dell’apostasia intestina post-vaticano2 lo testimoniano. Il compito che ci resta è quello di capire come lo Spirito stia assistendo ora la Chiesa.Larisposta che Benedetto XVI dà ai cultori e ai detrattori del Concilio nel 50° anniversario è la risposta che lo Spirito dà alla Chiesa per venir fuori dalla sua crisi epocale e apocalittica: la fede.

Ora, se cercate riflessioni nuove non merita proseguire nella lettura seguente che è abbastanza “scolastica”; se però solete attingere dai manuali di Fratelenzo, di Famiglia Comunista o dei porporati col complesso dell’innovazione comunicativa (neo-adoratori di Laparola), allora leggere vi farebbe bene.

Porta fidei, La porta della fede, è il Motu Proprio con cui il papa ha scelto di indire un Anno della fede dal prossimo 11 Ottobre 2012. Il papa, autore di una audace enciclica sulla Carità (Deus caritas est – dove si recupera la relazione eros-agape), e difensore in un concetto tradizionale di Speranza (Spe salvi – dove si denunciano i flop della modernità, con la quale peraltro B16 mantiene pur sempre un dialogo franco e coraggioso) dedica alla Fede solo un Motu Proprio, ma con esso inaugura un intero anno di conversione alla Fede. E non si tratta di un anno qualsiasi.

Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia [perché]… i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari… vengano letti in maniera appropriata… vengano conosciuti e assimilati… Se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa (5).

Il che dice molto. Dice che non si può cancellare la storia con un colpo di spugna, ma che essa non è neppure un percorso evoluzionistico tendente automaticamente al meglio; dice che il Concilio va pienamente assunto (qui si colloca il delicato confronto conla FSSPX); dice che il Concilio è una Grazia (mala Graziain casa cattolica va raccolta sennò si volge altrove); dice – e questo mi interessa maggiormente – che servono letture appropriate dei documenti e che solo una giusta ermeneutica farà sì che la grazia conciliare rafforzi la Chiesa. Dice che tutto questo si “può”, quindi dovremmo farcela; ma non è automatico, quindi dobbiamo impegnarci e metterci sulle giuste vie.

Gli irenismi di quei cattolici per cui in fondo l’attuale sfacelo è solo una questione di tempo – è cioè una piccola confusione che tornerà nella norma entro qualche anno o secolo – non convincono nessuno. Qui, seppur con parole miti, in qualche modo è implicito un rinnovato appello ad una rinnovata ma soda militanza.Che manca e che urge.
L’alternativa è che l’abuso del dono di Grazia produca nuovi danni. E qui metto in bocca al papa una conclusione mia: cosa che avvenne nell’immediato dopo Concilio.

In effetti nel 1967 Paolo VI indisse un Anno di fede simile (4) all’attuale. Perché “simile”?

A mio avviso perché quello tamponava una crisi ormai esplosa; questo invece vuole prevenirne una futura. In perfetta logica cattolica il papa vuole imparare da un male storico per ricavarne un bene maggiore; consapevole che non progredi regredi est per cui o ci meritiamo la rinnovata stabilità e crescita ecclesiale o andremo incontro a fratture peggiori delle precedenti.

Invece la spiegazione ufficiale – che spero sia diplomatica (a mo’ di pudica pezza sul passato) e non profetica (a mo’ di redarguizione sul futurabile) – ritiene che Paolo VI volesse solo commemorare il diciannovesimo centenario del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo, e che la crisi di fede sia esplosa successivamente (proprio nel corso di un Anno della fede!). Monito diplomatico e non profetico – ribadisco – si spera.

In ogni caso vale l’ovvio – ma nel secolo breve dei teologi post-heideggeriani neppure l’ovvio è al sicuro – la fede non è un componente di default nella vita ecclesiale:

Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio… (2)

Non essendo il papa, posso ampliare anche qui i riferimenti e le libere interpretazioni.

Circa la sproporzione tra custodia della fede e apprensione socio-economica potete spogliare i testi omiletici delle principali cattedrali europee negli ultimi due anni e temo avrete esperienza concreta dell’allusione petrina.

Circa il motto di fondo – che cioè ovviamente la fede non è ovvia – siamo dunque autorizzati a ritenere (e a dichiarare sommessamente) che chi ci ha preceduto nella fede – chi cioè ci ha insegnato che curare il barbone è meglio che curare la liturgia, che la carità cristiana comanda di usare del voto politico a beneficio delle richieste dei radicali, che allestire un musical è la più autentica preghiera e formazione giovanile oggi (dicendo “oggi” il progressista ingenuo si sente ancora legato ai santi eroici dei secoli passati, che fecero cose diverse dalle nostre ma solo perché proporzionate al loro “oggi”), etc. – forse ci ha insegnato tante cose strane, proprio perché non ne aveva molta, di fede.

E’ questa la verità ufficiale e ontologica dell’esperienza ecclesiale degli ultimi 50 anni: Una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone. (2) Chissà, molti di noi potrebbero anche dire: siamo stati svezzati da agnostici. Nel mio caso ci azzeccherei per un buon 75%.

Dunque il papa sceglie di dirottare la querelle tra anti-conciliaristi e anti-costantiniani, aprendo un file del tutto differente: la questione fede.

Fa bene? Assolutamente sì, perché la crisi conciliare fa parte di una più ampia sfida storica, in cui le intenzioni dei protagonisti conciliari, le asserzioni degli scritti ufficiali, la ridda di interpretazioni, l’abominio di applicazioni, la vuota bonaccia di conseguenze odierne si intrecciano in forme inestricabili e ambigue che la nostra generazione non può risolvere.

La cosa migliore in questo contesto è che i teologi si scannino tra loro – tutti però, non solo i delfini dell’ideologia imperante o quelli della cultura secolaristica: largo alle scomode fila del tradizionalismo – mentre al papa conviene darci direttrici pratiche in attesa di un presto o tardo appianamento delle faccende.
Del resto il papa ha chiaro la portata dello scontro in atto, lo attestano gli accenni sobri ma scomodi emersi tra l’altro nel pellegrinaggio a Fatima. Quella stessa Fatima da cui riceviamo l’invito alla penitenza onde scongiurare conflitti mondiali e apostasie ecclesiali.

E qual è dunque il suo suggerimento concreto per attraversare la tempesta? Tornare al Catechismo della Chiesa Cattolica – CCC (che non è quello Olandese; col che Fratelenzo si auto-esclude dall’Anno della fede). Non stupisce allora scoprire che l’11 Ottobre segnò – in annate differenti – non solo l’inizio del Concilio ma anche la pubblicazione del CCC.

Ed è così che l’uomo ombra del CCC, che nel 2005 ha pubblicato il Compendio del Catechismo (alla vigilia dei SS. Pietro e Paolo, per il XIX centenario dei quali Paolo VI indisse l’Anno della fede) e che a Madrid ha distribuito ai giovani You-cat, pone il Catechismo come decodificatore efficace di ogni casino parrocchiale e oltre.

Perché la conoscenza dei contenuti è essenziale (10) alla fede cattolica: e così si fa pure tabula rasa – praticamente e non teoricamente, per le ragioni su addotte – dei contenziosi circa Tradizione e progresso, infatti

dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente di tanti modi in cuila Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede. (11)

Come dire. Cari lefebvristi, grazie per la testimonianza di fede radicale, ma adesso o questa fede la mettete al servizio del vero aggiornamento della Chiesa col mondo sociale oppure rassegnatevi a servire micro-parrocchie sparutamente disseminate. Come a dire, caro fan club dell’Officina di Bologna, grazie, ma, oppure, e siete sempre in tempo per recuperare la fede.

Si noti poi come il Catechismo è proposto quale contenitore armonico di una multiforme ricchezza ecclesiale: Scrittura, Padri, teologia e Santi. Addio all’utopia palingenetica delle Scuole della Parola, la soluzione in perfetto stile cattolico sta oltre e implica molto di più di qualsiasi esegesi.

E volendo essere particolarmente scorretti, dovremmo sottolineare anche il superamento del fideismo tedesco tanto caro alle teologie neo-barbare (che ci invasero dalle renane terre) nel robusto invito a concretizzare la fede con le opere di carità (14).

Anche le conclusioni, cronologiche e teleologiche, brillano di splendore tutto cattolico.
Cronologicamente l’Anno della fede avrà il suo compimento nella Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo (24 XI 2013), al quale sottoporre ogni aspetto della nostra esistenza, non esclusi – aggiungo ad abundantiam – i valori non negoziabili.
Teleologicamente (o escatologicamente) il papa invita i fedeli a guardare la Croce e il modo con cui i Santi l’hanno portata. Tradotto: a voler vivere il Catechismo ci ritroveremo soli e isolati, dalla Parrocchia anzitutto, dunque predisponiamoci con un atto di coraggio e di abbandono alla Provvidenza, con un atto di fede sincera:

Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo, sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce. (15)